Il Biglietto di frate Francesco a frate Leone

Alcune informazioni sul Biglietto

Frate Leone è un personaggio importante nella storia degli inizi del movimento di Francesco. Sebbene non fu uno dei primissimi compagni, tuttavia si unì a lui ben presto, restandogli accanto fino alla fine come segretario, confessore e amico. Dopo la morte del Santo, Leone divenne all’interno dell’Ordine dei minori la memoria più importante ma anche più problematica, per la coscienza critica nei confronti degli sviluppi assunti dalla dirigenza. Tale ruolo di memoria critica spiega due dati contraddittori presenti nelle agiografie: in quelle ufficiali (Tommaso e Bonaventura) non è mai trasmesso il suo nome, mentre è abbondantemente presente in quelle non ufficiali, legate al gruppo minoritario dei frati che alla fine del XIII secolo rifiutava alcuni elementi del processo evolutivo dell’Ordine.

Tuttavia, su questo biglietto autografo di Francesco inviato a Leone, ambedue le fonti tacciono; di esso non avremmo saputo nulla se non fosse giunto fino a noi come testimone di se stesso. Dunque è possibile sapere qualcosa del motivo di quel breve ma intenso scritto solo dal suo contenuto, che è la risposta data dal Santo a delle richieste di aiuto rivoltegli da Leone mentre stavano in cammino. Restano sconosciuti i problemi di cui gli parlò Leone, né possiamo sapere dove i due frati fossero in quel momento o quando tutto ciò avvenne. L’unico labile indizio temporale potrebbe venire dalla notizia del loro essere in cammino, una indicazione che lascia supporre un periodo della vita di Francesco in cui gli era possibile ancora spostarsi a piedi, e dunque, si potrebbe pensare, prima del 1224.

La trasmissione della piccola pergamena di 6 cm di larghezza e 13 centimetri di lunghezza è dipesa dal rapporto speciale che Leone ebbe con il suo amico, fratello e padre, Francesco. Come sappiamo bene, diversi sono stati i biglietti personali scritti da Francesco. In alcuni casi conosciamo solo la notizia della loro scrittura, senza averne più il contenuto (al cardinale Ugolino e a Bernardo), in altri invece abbiamo la trascrizione del testo ma non più l’autografo come è il caso del biglietto ad Antonio, ad un ministro anonimo, a Chiara (con due brevi testi che lei stessa trascrive nel capitolo VI della sua Regola) e infine a donna Jacopa. Il Biglietto di Spoleto insieme alla Cartula di Assisi costituiscono due casi speciali e quasi unici nella storia del medioevo: due testi autografi di un personaggio così importante, che ci permettono di avere tra le mani altrettante testimonianze della relazione di amicizia umana che legava i due frati1. La loro (e nostra) fortuna di essere giunti fino a noi è sicuramente legata a Leone e ai suoi sentimenti nutriti per frate Francesco. Il frate, “pecorella del Signore”, come lo chiamava Francesco, sentiva infatti che quei due ritagli di pergamena, quei due “pizzini” ricevuti dal Poverello di Assisi erano speciali: contenevano la scrittura del “suo Francesco”; non poteva sbarazzarsene! E li tenne con sé fino alla fine della sua vita, per consegnarli, poi, poco prima della morte, a qualcuno che ne avesse cura.

A livello di trasmissione la storia dei due Biglietti si divide. La Cartula fu costantemente conservata nella Basilica di S. Francesco, mentre il Biglietto ebbe una vicenda più complicata. Il testo emerse per la prima volta nel XVII secolo nel convento di S. Simone di Spoleto, dove Wadding lo copiò per pubblicarlo nel 1635 tra i testi di Francesco. L’autografo scomparve di nuovo per ricomparire alla fine del XIX secolo, quando il papa Leone XIII, che lo aveva ricevuto qualche anno prima da uno studioso spoletano, lo riconsegnò alla città di Spoleto a condizione che fosse esposto all’interno della Cattedrale.

Sia il tipo di scrittura che il contenuto e il linguaggio attestano con certezza la paternità: siamo di fronte ad un oggetto utilizzato e vergato dal Santo, il cui contenuto racconta la forte relazione che legava i due frati. Dunque, non solo la natura autografa ma anche le parole di Francesco per Leone rendono speciale questo breve testo. In esso è confermato quanto si ritrova in tutti i Biglietti personali inviati dal Santo: una vicinanza umana che diventa educazione alla responsabilità; ai destinatari Francesco infatti chiede di non scappare di fronte a situazioni difficili e imprevedibili dell’esistenza personale e comunitaria, ma di starci lasciandosi guidare dalla logica del Vangelo. Sul nostro testo occorre fare due ultime considerazioni di natura testuale: la prima riguarda la semplicità della struttura, l’altra invece la complessità della storia redazionale. Ma leggiamo innanzitutto il breve contenuto del biglietto consegnato a Leone:

  1. 1F(rater) Leo, f(rater) Francissco tuo sa
  2. lutem et pacem. Ita dico tibi,
  3. fili mei, sicut mater, quia
  1. omnia verba que‹e› di[s]ximus
  2. in via breviter in hoc uerbo
  3. dispono et consilio, et non
  4. ‹dopor› oportet propter
  5. consilium uenire ad me,
  6. quia ita consilio tibi: in qo
  7. cumque modo melius ui
  8. ‹so›detur tibi placere domino
  9. deo et sequi uestigia et pa
  10. ‹i›upertatem suam, faciatis
  11. cum beneditione domini
  12. dei et mea obedientia.
  1. Et si tibi est necesari[um]
  2. a[ni]ma[m] [tu]am, propter aliam
  3. consolationem tua[m], et uis,
  4. reuenire ad me, ue[ni]

 

1) Intestazione: i legami tra il mittente e il destinatario

(1)   Frate Leone, il tuo frate Francesco

     ti augura salute e pace. Così dico a te,

     figlio mio, come madre: che

2) Messaggio: la fermezza di Francesco nel dare la responsabilità a Leone

a) (2) tutte le parole, che abbiamo detto

     lungo la via, brevemente in questa parola

     dispongo e consiglio, e non

     c’è bisogno per

     un consiglio che tu venga da me

     poiché così ti consiglio: (3) in qua-

b) lunque modo ti sembra meglio

     di piacere al Signore

     Dio e di se­guire le sue orme e

     la sua povertà, fatelo

     con la benedi­zione del Signore

     Dio e con la mia obbedienza.

3) Chiusura: tuttavia io resto accanto a te

(4) E se a te è necessario

     che la tua anima, per un’altra

     tua consolazione, – e tu vuoi –

     ritorni a me, vieni!

Partiamo dalla struttura contenutistica del Biglietto, nel quale, come mostrato nel testo italiano del confronto sinottico con l’originale latino, si evidenziano tre parti:

  1. Intestazione: i legami esistenziali tra mittente e destinatario (v. 1).
  2. Il messaggio: la fermezza di Francesco che esige a Leone di essere responsabile: a) Con fermezza Francesco…: ita dispono et consilio tibi (v. 2); b) …comanda esige a Leone di scegliere: quomodo melius videtur tibi, faciatis (v. 3).
  3. Chiusura: comunque resto accanto a te per sempre (v. 4).

 

Alla semplicità della struttura si contrappone la complessità della redazione. Pur essendo un autografo, la pergamena evidenzia una serie di ulteriori interventi a più riprese, nei quali si può parlare di “storia redazionale”. Diverse sono infatti nel testo le correzioni ortografiche e le aggiunte di qualche parola apportate dopo la prima stesura. Difficile stabilire se tutte siano state operate da Francesco stesso prima di consegnare il Biglietto o da Leone dopo averlo ricevuto. Un altro elemento di storia redazionale, la più importante, riguarda la chiusura del Biglietto (v. 4), dove si nota una rasatura della pergamena per cancellare il testo precedente e riscrivere sopra quanto oggi si legge, anche se con grande difficoltà. Francesco, dopo aver terminato la lettera, forse utilizzando in quel caso una formula tipica di chiusura epistolare e di commiato, decise di cambiarla per “correggere” o “invertire” quanto aveva chiesto poco prima a Leone.

Nuclei del contenuto

Pur se molto breve, il Biglietto ha una densità che non può essere presentata in poche righe. Ci limiteremo a fare solo tre veloci sottolineature relative ad altrettanti versetti.

Francesco con l’autorità di madre (vv. 1)

Tra l’intestazione (v. 1a) e l’inizio del biglietto (v. 1b) sembrerebbe esistere una specie di tensione. Partiamo dall’intestazione, dove il mittente stabilisce con il destinatario una parità relazionale: «a frate Leone il tuo frate Francesco». Il rapporto fissato in questa apertura riassumeva e ribadiva il legame paritario che vi era tra i due uomini, avendo abbracciato lo stesso progetto di vita e, di conseguenza, rendendosi reciprocamente fratelli. Quando però il mittente inizia a trattare la questione per la quale stava scrivendo quel Biglietto, cambia le qualifiche dei rapporti: «io ti parlo come madre al proprio figlio». Dalla simmetria iniziale all’asimmetria nell’affrontare invece la difficoltà che stava vivendo Leone. Francesco cambia dunque di posizione di fronte al suo amico, per assumere su di lui un’autorità speciale a partire dalla quale poter utilizzare un linguaggio di autorità: «ti consiglio, cioè ti comando».

Interessantissima in questo contesto è la scelta della metafora per imporre a Leone la sua volontà: non è quella del “padre”, come ci si poteva aspettare, ma quella della “madre”. Fedele ad una scelta ribadita in tutti gli scritti, Francesco non usa mai l’immagine del padre per determinare la forma di “autorità” che deve essere esercitata all’interno della fraternità, ma solo quella del “servo” e in particolare della “madre” (cf. Regola bollata VI 7-8: FF  91, e Regola bollata X 1-6: FF 100-102). Esse sono le due figure che meglio traducono la natura del potere che un frate deve esercitare per essere accanto all’altro in difficoltà: «il potere di non aver potere» se non quello del servizio che nasce dalla vicinanza solidale. Nei confronti di Leone la qualifica dell’autorità che il Santo vuole svolgere è quello della madre: colei che ha il potere della (com)passione per il figlio.

La chiamata di Leone alla responsabilità (v. 2-3)

Cosa comanda Francesco con la sua autorità di madre a Leone? Quella di essere autonomo nella ricerca di ciò che è “meglio”, per risolvere lui stesso le difficoltà che stava vivendo e di “farlo” insieme agli altri fratelli. È chiaro che lungo la via i due non hanno discusso su cosa fosse “il meglio”, confrontandosi tra due diverse opinioni; all’inizio del suo Biglietto Francesco infatti tiene a dirgli che gli avrebbe ripetuto quanto si erano già detti mentre erano in cammino. È probabile allora che Leone, quando stavano insieme, abbia chiesto al suo amico e padre di decidere lui cosa dovesse fare ed egli avrebbe obbedito. Invece Francesco nel Biglietto gli ripete quanto già gli aveva detto lungo il cammino, confermando il suo consiglio: «tocca a te Leone capire cosa è meglio; non puoi esentarti da questa fatica anche se ti costa solitudine e insicurezza». “Come madre” Francesco stava educando il figlio a diventare adulto e responsabile della sua vita.

Nello stesso tempo il Santo non lascia del tutto solo Leone, ma gli offre i criteri che avrebbe dovuto usare per effettuare questa operazione di responsabilità: «interrogati su quale sia la scelta migliore per piacere a Dio e seguire le orme di Gesù nella sua scelta della povertà». Con questa operazione di ascolto su cosa fosse “il meglio da fare”, usando come misura di confronto la paternità di Dio e l’esempio concreto di Gesù, Leone poteva ottenere quell’autonomia che gli avrebbe permesso di decidere da solo. Non gli dà dunque una soluzione, che forse nemmeno Francesco conosceva, ma gli offre dei criteri generali. Leone è invitato ad alzare gli occhi del cuore e della mente innanzitutto verso il grande orizzonte dell’amore di Dio e poi abbassarli sulla forma concreta che esso ha assunto nella povertà di Cristo. La decisione che Leone assumerà, partendo da questo doppio criterio, sarà la forma concreta e realizzata della “sequela” di Cristo, perché nel suo tentativo di fare il “meglio” per sé e per i fratelli, egli annunciava e realizzava il Vangelo facendone strumento di pace e di fraternità.

Il criterio consigliato-comandato dal Santo avrebbe permesso a Leone infine una autonomia tale da non aver più paura o difficoltà di essere da solo nella fatica a cui lo obbligava il dovere della responsabilità. È in questo contesto che va compreso il passaggio, apparentemente duro, con il quale Francesco sintetizza l’efficacia che Leone avrebbe ottenuto nel mettere in pratica il suo consiglio: in seguito «non c’è bisogno che tu venga da me per consigliarti» (v. 2).

Il pentimento finale di Francesco (v. 4)

Abbiamo già detto della chiusura del Biglietto, dove si nota una rasatura del testo precedente, per essere sostituito da Francesco con una nuova formulazione, la cui lettura, soprattutto per le ultime parole, non è del tutto sicura: «e se a te è necessario, perché tu ne abbia altra consolazione, che la tua anima ritorni a me, e tu lo vuoi, vieni». Precedentemente gli aveva “ordinato” di non andare più da lui perché doveva e poteva restare da solo di fronte alle difficoltà della vita, diventandone responsabile; tuttavia questa richiesta non doveva diventare un malinteso per Leone, fino a comprendere che veniva cacciato via e respinto da Francesco come se fosse un disturbo. Non  intendeva questo! Di qui la ripresa della lettera già terminata, per correggere e precisare quanto richiesto precedentemente, quasi per ribaltarlo: «vieni se hai bisogno di un’altra consolazione». In fondo Francesco in quel Biglietto vive la tensione dialettica che sorge dai legami umani, dove non è sempre facile capire come conciliare il valore dell’autonomia educativa e la vicinanza che dà supporto e incoraggiamento. Nella breve lettera i due momenti sono posti strettamente insieme. Anzi, la storia redazionale del testo con la trasformazione finale mostra che in quel caso Francesco sente di dover accentuare il secondo per riequilibrare quanto aveva detto sul primo: «se hai ancora bisogno della mia vicinanza, torna Leone, non avere paura; io ti resto accanto!».

La richiesta sarà sfruttata da frate Leone qualche anno dopo, quando sarà accanto a Francesco sul monte La Verna. Là il Santo aveva rincontrato il suo Signore crocifisso grazie al quale aveva superato le tristezze e gli smarrimenti per le difficoltà che stava vivendo con il suo Ordine. Leone invece viveva ancora un senso di solitudine e tristezza per quanto stava avvenendo. Aveva bisogno di essere “consolato” da Francesco per ritrovare il senso della propria vita evangelica, nella quale era chiamato a fare della sequela di Cristo povero e crocifisso la risposta ai suoi dubbi e il motivo per rimettersi in cammino fiducioso e in pace con sé e con gli altri fratelli. E Francesco aiuta il suo amico donandogli la Cartula, dove aveva scritto per sé le Lodi del Dio altissimo e, poi, per venire in soccorso all’amico, aveva aggiunto, nell’altra parte della pergamena rimasta ancora vuota, la benedizione. Quel testo, segno di una amicizia forte e fedele, divenne consolazione che guarì le ferite dell’anima di Leone, ridonandogli la pace del cuore e la disponibilità di servire i fratelli.

Conclusione

Leone conservò come eredità preziosa i due piccoli-grandi autografi consegnatigli da Francesco: il Biglietto di consiglio di Spoleto e la Cartula di benedizione di Assisi. Con quei due “pizzini”, portati con sé fino alla morte, avvenuta nel 1271, Leone aveva tenuto vicino al cuore colui che era diventato per lui e restava ancora “fratello e madre”. In quelle povere e logore pergamene, rilette con affetto e attenzione nei momenti in cui la vita si faceva impegnativa, egli ritrovava ogni volta “una consolazione per la sua anima”. Per il vecchio e forse stanco Leone, la memoria del “suo Francesco”, che ancora poteva toccare e leggere in quei due biglietti, ha costituito fino alla fine una fonte inesauribile di speranza e di incoraggiamento, memoria di un compito che doveva egli stesso assumersi per gli altri: «Leone, diventa tu consolazione dei tuoi fratelli, facendoti consiglio per scelte coraggiose di vita e benedizione che ridesti la lode nel cuore».

Davvero allora non solo la Cartula, come nota Tommaso, ma anche il Biglietto compirono nella vita di Leone «cose meravigliose» (2Cel 49). Ma non perché fossero talismani con una forza magica, bensì perché contenevano una “memoria sacramentale” della persona di Francesco. Su quelle due pergamene il Santo aveva condensato ed espresso la sua materna, fraterna, amichevole prossimità; e allora aprire di nuovo quei testi per leggere le parole del suo amico, fratello, madre-padre e santo significava per lui ogni volta rientrare in quella relazione ed essere aiutato a testimoniare una vita vissuta “secondo la forma del santo Vangelo”.

E la forza dei due testi non si è spenta: ancor oggi, per tutti coloro che li leggono con attenzione e devozione diventano motivo di consolazione e di incoraggiamento per restare alla sequela fedele di Cristo e al servizio generoso dei fratelli.

Pietro Maranesi, ofm capp, Docente all’Istituto Teologico di Assisi

Il Biglietto di frate Francesco a frate Leone

FRATE LEONE

Negli archivi sono piuttosto esigui i dati biografici che lo riguardano: probabilmente era oriundo del contado di Viterbo; fece il suo ingresso nell’Ordine dopo il 1212 (molti sostengono, invece, nel 1210); morì in Assisi nel 1271. Fu tra i compagni della seconda ora di Francesco d’Assisi: vicino al Santo durante importanti momenti della sua vita, in particolare negli ultimi anni presso il Santuario de La Verna, momenti in cui chiese a Francesco di scrivere una benedizione personale (Benedictio fratri Leoni) e una lode a Dio (Laudes Dei altissimi). Egli scrisse quanto richiesto su un foglietto (definito “Chartula fratri Leoni” ovvero “Lettera a Frate Leone”), l’una sul fronte, l’altra sul retro. È conservato in ottime condizioni presso la Basilica inferiore d’Assisi, nella cappella delle reliquie. Altro documento che testimonia la stretta relazione con il Santo è la cosiddetta Lettera spoletina, un documento autografo su pergamena conservato presso il Duomo di Spoleto. Dopo la Regola di S. Francesco, i documenti autografi del Santo sono tra le fonti francescane più importanti.

Agostino Gemelli afferma che Leone fu il più semplice e puro tra i compagni di S. Francesco; Cuthbert sostiene che ebbe l’anima di un bambino; Fortini lo ricorda come «il più umile e il più mite dei discepoli del Santo». Per questa sua mitezza, Francesco lo battezzò come «Pecorella di Dio», e, nella definizione del vero frate minore lo propose come modello di «semplicità e purità». Lo scelse anche come suo segretario e confessore, e per questo duplice titolo si può affermare che egli conobbe il poverello come nessun altro, «di fuori e di dentro»; Francesco lo teneva al corrente di quasi tutti i suoi segreti; e nessuno come frate Leone sperimentò l’allegrezza e la meraviglia di conoscere, nel suo insieme e nei particolari, la santità del “Giullare di Dio”. Frate Leone è sepolto vicino alla tomba di Francesco, nella cripta della Basilica di Assisi.

825° anniversario del Duomo di Spoleto

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