L’Icona mariana di Spoleto, o la «Santissima Icone», come è popolarmente chiamata, per il gesto delle mani innalzate per ottenere misericordia può essere annoverata tra le immagini mariane del tipo della Paraklisis, o della «intercessione»; Maria advocata, nella lingua latina.
Un testo della tradizione greca bizantina canta: «La porta della misericordia aprila per noi, benedetta Genitrice di Dio, o Vergine, per non perire noi che speriamo in Te, ma di salvarci dai bisogni per mezzo Tuo, perché Tu sei la salvezza della stirpe umana», canta. Nella tradizione occidentale c’è l’antica preghiera latina Memorare, inserita tra quelle riportate in «Appendice» dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, ripete: «Ricordati, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al tuo patrocinio, implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da tale confidenza, a te ricorro, o Madre, Vergine delle Vergini, a te vengo e, peccatore contrito, innanzi a te mi prostro. Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltami propizia ed esaudiscimi».
Il cartiglio della Santissima Icone
Un elemento caratteristico di questa immagine è il cartiglio che esplica il gesto dell’invocazione e il cui testo in traduzione italiana dice:
«Che cosa chiedi, o Maria? / La salvezza dei viventi. / Ma provocano a sdegno. / Compatiscili, Figlio mio. / Ma non si convertono! / E tu salvali per grazia».
Benché in una forma estremamente sintetica si tratta di una sorta di «dramma sacro», una forma che nella tradizione bizantina avrà ampliamenti e sviluppi nelle cosiddette Omelie drammatiche, autentiche forme di «teatro» cristiano. Nel caso della Icona spoletina i dialoganti sono la Madre e il Figlio. Il suo prototipo è evidentemente il dialogo a Cana di Galilea narrato dal Vangelo secondo Giovanni i cui elementi fondamentali: l’iniziativa della Madre e l’apparente resistenza del Figlio sono qui amplificati. Nell’Antico Testamento se ne vedrà un esempio nell’intercessione di Abramo per la salvezza di Sodoma, in quella di Mosè nel deserto per il perdono a Israele che aveva danzato davanti al vitello d’oro.
Una forma dialogante sul medesimo tema trasmessoci dalla Icona spoletina la troviamo in un testo poetico di Romano il Melode il quale pone sulle labbra di Maria queste parole rivolte ad Eva e Adamo: «Mettete fine al vostro pianto e per voi intercederò presso il mio nato. Scacciate la tristezza, perché io ho partorito la gioia! Ecco, sono venuta a distruggere ogni dolore, io, Piena di grazia. Ho un figlio misericordioso e assai pietoso, come so per esperienza. Ho provato io stessa la sua compassione: pur essendo fuoco, egli ha dimorato in me, il roveto e non ha bruciato a sua fragile creatura… State tranquilli e non preoccupatevi, ché da lui vado io, la Piena di grazia…».
Poco più avanti è Gesù che si rivolge alla Madre e le dice: «O madre, io li salverò sia per te sia attraverso te. Se non avessi avuto la volontà di salvarli non avrei preso dimora in te … Sono sceso sulla terra affinché essi abbiano vita incorruttibile, ma se tu sapessi della mia crocifissione per mano di costoro, insieme a tutti gli elementi ne saresti sconvolta e piangeresti, o Piena di grazia».
A questo punto la parola torna alla Madre: «Se parlo ancora, non adirarti con me che sono fango, o Creatore. Ti parlerò in confidenza come si parla a un figlio, sarò franca come una madre, perché con la tua nascita mi hai dato ogni motivo di vanto. Io voglio ora sapere che cosa è quel che farai: non nascondere a me il tuo volere…».
Infine c’è la risposta di Gesù: «Sono vinto dall’amore che ho per l’uomo, ancella e madre mia. Non voglio rattristarti, ma ti farò conoscere quel che intendo fare e avrò cura della tua anima, o Maria! Fra poco vedrai con le mani inchiodate colui che tieni fra le braccia… A queste parole Maria gemette fin dal profondo ed esclamò: “Grappolo mio, fa’ che non ti schiaccino gli empi”». Al vedere il pianto di Maria, Gesù la consola e le annuncia la sua risurrezione al terzo giorno e a questo punto Maria corse fuori da Adamo ed Eva e portò loro il lieto annuncio: «Abbiate pazienza ancora un poco! Avete udito che cosa egli ha detto di essere pronto a sopportare, per voi che mi proclamate Piena di grazia» (Natale II, str. 11-18: Cantici di Romano il Melode, a cura di R. Maisano, I, UTET, Torino 2002, 139-145).
È in questa forma di poesia religiosa che sarà inserito e compreso il testo della santissima Icone di Spoleto.
Maria mediatrice di tutte le grazie
Nell’ordine della preghiera di intercessione la Chiesa ha sempre inserito Maria, la Madre del Signore. Nelle invocazioni liturgiche Ella è sempre invocata (si pensi al Confiteor della Messa) in posizione di preminenza sicché può senz’altro dirsi che dalla frequenza delle feste e memorie mariane, come pure dai testi liturgici appare chiaro la fede cattolica di riconoscere a Maria una potenza di intercessione con la quale nessun altro santo può reggere il confronto. Il motivo è da riconoscere nel posto singolare che ella occupa nella storia della salvezza e riguarda la sua intima unione con Cristo e con la sua opera.
Della sua funzione mediatrice il Concilio Vaticano II tratta ai nn. 60-62 della costituzione dogmatica Lumen gentium. Qui si insegna che «Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l’unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita» (n. 60); che la sua tutta speciale cooperazione all’opera del Salvatore rende per noi Maria «madre nell’ordine della grazia» (n. 61); che pure assunta in cielo Maria continua la sua funzione salvifica e «con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna» sicché la Chiesa la invoca coi titoli di «avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice. Ciò però va inteso in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore» (n. 62).
Questo magistero è fondato nella costante tradizione della Chiesa sia dell’Oriente, sia dell’Occidente. Nel primo caso, già nell’VIII secolo troviamo elementi molto significativi sotto il profilo mariologico. Ad esempio, in un sermone sulla dormitio della santa Madre di Dio S. Germano di Costantinopoli esclamava: «Tu che godi nei riguardi di Dio godi di un’autorità materna anche a favore di coloro che hanno enormemente peccato, ottieni per loro la grazia del perdono. Tu non puoi non essere esaudita in quanto sei la sua madre purissima e quindi hai autorità in tutto, dappertutto e su tutto» (In dormitionem Mariae. II, 7: PG 98, 351). Nello stesso periodo S. Andrea di Creta e S. Giovanni Damasceno svilupperanno soprattutto in testi liturgici come l’Horologion (ossia l’Ordinario del giorno) il tema della presbeia di Maria, un termine che indica la preghiera d’intercessione, la preghiera intensa di Colei che si fa ambasciatrice per noi presso Dio e presso il Figlio Gesù, con pieni poteri perché Madre di Dio.
In Occidente sarà specialmente S. Pier Damiani a meditare sulla potenza dell’intercessione della Vergine. In un sermone sul Cantico egli commenta un versetto nel quale si dice: «Voltati, voltati, Sulammita, voltati, voltati: vogliamo ammirarti» (7,1) prendendone lo spunto per meditare sulla potenza dell’intercessione della Vergine. Dice a Lei: «Rivolgiti a noi e vieni in aiuto a chi ti invoca. Volgiti a noi, perché sei della nostra stessa natura umana. Sei forse a tal punto divinizzata da dimenticarti dell’umanità? No certamente, o Signora. Hai la nostra stessa natura umana ed è quindi giusto che noi riponiamo in te tutta la nostra fiducia. Rivolgiti a noi perché sei divenuta potente: grandi cose, infatti, ha fatto in te l’Onnipotente. Cosa può egli negarti? Niente ti è impossibile. Ricordati: quanto più sei potente tanto più devi essere misericordiosa. Rivolgiti a noi per amore. Lo so che sei grandemente benigna e che ci vuoi bene. Rivolgiti a noi per la tua unicità. Nelle tue mani sono state depositate tutte le misericordie del Signore. Nulla diminuisce della tua gloria se ci vieni in aiuto…» (Sermo 45 in Nativitate B. M. V. I: PL 144, 740).
Come non ricordare, poi, S. Bernardo da Chiaravalle? In un suo sermone sulla nascita della Vergine leggiamo: «Da più profondo del cuore, con tutte le nostre forze e con tutto il desiderio onoriamo questa Maria. Tale è la volontà di colui che ha voluto che tutto avessimo per mezzo di Maria… Egli ti ha dato Gesù per mediatore. Che cosa non potrebbe non ottenere un tale Figlio presso un tale Padre? … E Maria te lo ha dato per fratello. Ma forse temi la sua maestà divina, di lui che pur diventando uomo , rimase Dio. Vuoi avere un intercessore anche presso di Lui? Ricorri a Maria» (In Nativit. B.M.V., 7: PL 183, 441).
A Bernardo farà eco S. Luigi M. Grignon de Montfort il quale, nel suo Trattato della vera devozione a Maria esprime con chiarezza la mediazione universale di Maria e ne indica il motivo in una libera decisione di Dio: «Maria è un acquedotto misterioso, attraverso il quale il Figlio fa scorrere abbondantemente la sua misericordia. Dio ha voluto che tutto noi possedessimo per mezzo di Maria» (I, 1).
Questa dottrina S. Alfonso M. de’ Liguori l’indicherà nel suo tempo come universalmente ammessa. Ne Le Glorie di Maria, opera che sarà definita come «agente ed eco della Mariologia moderna» (J. Rivière) scrive ripetutamente. Dio vuole che tutte le grazie che egli ci dispensa passino attraverso le mani di Maria: «Gesù Cristo è l’unico mediatore di giustizia […] che coi meriti suoi ci ottiene le grazie e la salute; ma diciamo che Maria è mediatrice di grazia, e che sebbene quanto ella ottiene, l‘ottiene per li meriti di Gesù Cristo, e perché prega e lo domanda in nome di Gesù Cristo, tuttavia quante grazie noi cerchiamo, tutte le abbiamo per mezzo della sua intercessione» (I, V §1).
Maria, «omnipotentia supplex»
È su questa teologia mariana che nel XIX secolo s’innesterà il tema della omnipotentia supplex. Lo farà alla luce delle apparizioni della Vergine a La Salette come Vergine delle lacrime. Il tema apparirà nel capitolo XIII della prima parte di La Femme pauvre di Léon Bloy, dove l’Autore fa evocare dal suo «doppio» Marchenoir il suo pellegrinaggio a La Salette: «Quando fui sulla cima e scorsi la Madonna seduta su una pietra, piangente con le mani sul volto, vicino a una piccola sorgente che sembra sgorgare dai suoi occhi, caddi ai piedi del cancello e scoppiai in lacrime e singhiozzi, chiedendo grazia a Colei che fu chiamata Omnipotentia supplex (La donna povera, Città Armoniosa, Reggio Emilia 1978, 95). Mezzo secolo dopo P. Claudel ricorrerà all’espressione ampliandola con riferimento alla Vergine di Lourdes.
L’espressione non sfuggirà all’attenzione dei teologi sicché trattando della devozione alla Vergine nel suo Compendio di teologia ascetica e mistica il p. A. Tanquerey annota che avendo Maria una parte importantissima nella vita spirituale, a lei è dovuta una grande devozione dandole l’intelligenza con la venerazione più profonda, la volontà con una confidenza assoluta, il cuore con il più filiale amore e tutto il nostro essere con l’imitazione più perfetta possibile delle sue virtù. Quando, dunque, alla confidenza assoluta, essa – prosegue il Tanquerey – è fondata sulla potenza di Maria e spiega: «Questa potenza viene non da lei ma dal suo potere d’intercessione, non volendo Dio rifiutare nulla di legittimo a colei che venera e ama più di tutte le creature. Ed è cosa pienamente equa; avendo infatti Maria somministrato a Gesù quell’umanità con cui poté meritare, e avendo coi suoi atti e con i suoi patimenti collaborato con lui all’opera redentrice, è pur conveniente che abbia parte nella distribuzione dei frutti della redenzione; nulla, quindi, di legittimo egli potrà rifiutare alle sue domande, e così potrà dirsi che Maria è onnipotente con le sue suppliche, omnipotentia supplex» (§ 165: ed. S. Paolo, Cinisello Balsano 2018, 101).
Concludo allora con due citazioni di altrettanti Papi. Anzitutto S. Paolo VI il quale nel Regina caeli del 30 aprile 1978 disse: la devozione mariana «nulla toglie alla ortodossia e alla severità teologica del culto cristiano, ma ne mette in evidenza la sua bellezza e la sua verità umana e divina. Essa ci porta alla contemplazione del mistero dell’incarnazione e a quello del suo trionfale coronamento nella gloria di Cristo. Essa ci avvicina alla Madonna, come dice S. Ambrogio, al typus, al modello ideale della perfezione, che si fa scuola per noi d’imitazione inesauribile e originale, proprio com’è il modello d’una madre sublime, gentile, veramente santa, specchio di bontà e di santità. E poi Maria, ogni cristiano lo sa, è omnipotentia supplex, è l’intercessione che tutto può impetrare e tutto può ottenere».
Gli farà eco S. Giovanni Paolo II il quale, nell’Udienza generale del mercoledì 2 maggio 1979 dirà: «Anche se i Vangeli non ci dicono nulla della visita della Madre di Cristo al posto della sua Risurrezione, tuttavia noi tutti pensiamo che essa doveva in qualche modo esservi presente per prima. Essa per prima doveva partecipare al mistero della Risurrezione, perché tale era il diritto della Madre. La liturgia della Chiesa rispetta questo diritto della Madre, quando rivolge a lei questo particolare invito alla gioia della Risurrezione: “Laetare! Resurrexit sicut dixit”! E subito la stessa antifona aggiunge la domanda per l’intercessione: “Ora pro nobis Deum”. La rivelazione della potenza divina del Figlio mediante la Risurrezione è nello stesso tempo rivelazione della “onnipotenza d’intercessione” (omnipotentia supplex) di Maria nei confronti di questo Figlio». Ancora S. Giovanni Paolo II, nella preghiera dell’Angelus del 31 maggio 1987 dirà: «Vi raccomando la preghiera, che ci fa tutti vicini a lei, a lei che si chiama anche Omnipotentia Supplex, vuol dire quasi tutta preghiera, preghiera onnipotente. Questo ci parla della sua mediazione materna».
È un po’ qui, in breve, la spiegazione del cartiglio della Santissima Icone di Spoleto.
Card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi
Dono di Federico Barbarossa
L’Icona raffigura la Madonna senza bambino con le braccia sollevate da un lato, secondo il tipo iconografico bizantino dell’Haghiosoritissa; l’iscrizione incisa sull’antica lamina di rame dorato che la ricopre in parte ci informa che essa fu dipinta per Irene Petralifina, discendente del noto Pietro di Alife che nel 1081 aveva partecipato con Roberto il Guiscardo alla spedizione contro l’impero bizantino; venuta in possesso di Federico Barbarossa, fu donata dall’Imperatore alla Cattedrale nel 1185 in segno di pace (aveva, infatti, distrutto la Città, incendiando anche il Duomo, nel 1155). La tradizione vuole che sia stata realizzata da S. Luca. Nel 1800 Pio VII scendendo da Venezia a Roma si fermò a Spoleto e omaggiò la Santissima Icone con un prezioso diadema.
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il popolo di Dio.
la storia
1198: la Cattedrale viene consacrata da
Papa Innocenzo III.